il nostro addio al nido
Iqbal


Associazione Donne Internazionali di Bergamo
Oggi, 1 marzo 2015, prende vita questo blog.
Un blog per provare a dire addio ad un progetto durato 15 anni.
121 giorni ci separano dalla chiusura del Nido Iqbal,
un progetto che è stato qualcosa di più di un semplice luogo dove lasciare i figli mentre si è al lavoro.
Un luogo di incontro
di donne
di madri
provenienti da diverse parti del mondo.
Un luogo dove l'Intercultura la si è realmente sperimentata
modellandola giorno dopo giorno nel nostro essere e in quello di chi con noi ha voluto costruirla.
Un luogo in cui l'essere donna
e l'essere madre
sono stati i punti di forza
che ci hanno unite e ci hanno permesso di crescere insieme.
Non è semplice accettare che quello che si è costruito con tanta passione, e inutile negarlo, anche tanta fatica, in perenne situazione di precarietà, fra non molto scomparirà.
L'unico modo per provare a farlo seguitare ad esistere è provare a raccontarlo perchè almeno nella parole possa continuare ad essere.
In questi 121 giorni che ci separano dalla chiusura
proveremo a raccontare cosa succede dentro a Iqbal
e a narrare le varie storie di chi da Iqbal è passato.
Sono storie di forza, di coraggio. Storie di donne che non si abbattono davanti a niente.
A voi il compito di farle volare lontano
affinchè possano non essere dimenticate
affinche il Nido Iqbal, anche solo nel ricordo di più persone possibili,
possa continuare ad esistere.
Mancano...
PROGETTO “IQBAL”
PER IL SOSTEGNO ALLA GENITORIALITA’ E ALL’INTEGRAZIONE
DELLE FAMIGLIE MIGRANTI
La sfida che il nostro nido si pone è quella di riuscire ad essere un servizio educativo rivolto a famiglie migranti che sappia essere “interculturale”.
La parola “intercultura” viene spesso caricata di significati che non le appartengono, sporcata con atteggiamenti che sono per lo più “contrattazioni”, utilizzata da chiunque ne abbia bisogno per portare avanti politiche di falsa apertura nei confronti del diverso.
“Iqbal” vuole essere un luogo in cui si fa Intercultura.
Significa che partiamo dal presupposto che l'incontro tra culture differenti non porti automaticamente “arricchimento da entrambe le parti”, come molti sognatori osano narrare. Piuttosto richiede una disponibilità da parte di tutti gli attori in gioco a mettersi in dialogo e sapere in partenza che ciò che ne uscirà sarà qualcosa di completamente diverso da ciò da cui si era partiti.
Se si pensa all'educazione che viene data ai figli nelle varie culture, saltano subito all'occhio differenze significative e piuttosto evidenti. Ci sono culture in cui i figli vengono allattati e tenuti costantemente addosso alla mamma per tutto il periodo della prima infanzia e bambini allattati artificialmente e abituati ad addormentarsi da soli nelle carrozzine, bambini stimolati al movimento e bambini educati a stare composti, bambini tenuti in casa e bambini lasciati scorrazzare all'aperto, bambini che dormono con la mamma e bambini che dormono nei loro lettini, bambini svezzati seguendo tabelle minuziose stabilite dal pediatra e bambini che vengono svezzati direttamente a tavola coi genitori, bambini che possono sporcarsi quando giocano e bambini che non possono, bambini che vengono sculacciati dai genitori a scopo educativo e bambini che non vengono mai percossi. Queste e molte altre differenze si possono già trovare all'interno della nostra cultura. A maggior ragione emergono vistosamente nell'incontro con culture altre.
A volte queste diversità passano senza interferire troppo nella vita del servizio. Altre volte le diversità mettono in difficoltà le educatrice o l'intero gruppo dei bambini. Se ciò avviene, allora è necessario affrontarle.
Si può scegliere la strada percorsa generalmente, che è quella in cui una delle due parti vince: o io educatore ti impongo il mio modo di vedere le cose perchè al nido fa comodo così, oppure tu, genitore, stai rigido sulle tue posizioni e alla fine, magari, ritiri il bambino dal nido.
In entrambe i casi, una delle due parti risulta sconfitta.
Affrontare tali diversità con uno stile interculturale significa trovare una terza soluzione, che renda soddisfatte entrambe le parti. Questo lavoro chiede innanzitutto di eliminare ogni tipo di giudizio. Benché ciò che incontriamo non sempre rispecchi il nostro modo di vedere le cose, il primo passo è comunque quello di sospendere ogni tipo di giudizio e disporsi in ascolto.
Vuol dire partire per un viaggio in cui non sono io, educatore preparato, che ti insegno come fare perché forse tu non sei preparato come lo sono io. Poi magari vivi anche una situazione di fragilità che ti pone in una condizione in cui “fai fatica ad assere un buon genitore”.
Vuol dire partire per un viaggio in cui io e te siamo sullo stesso piano e dialoghiamo, e creiamo insieme culture altre, culture terze, in cui nessuna delle due parti si senta perdente ma possa trovare modi nuovi per vivere serenamente il proprio compito di educatore.
Questo lavoro è tutt'altro che semplice e spesso esige un aiuto da parte di terzi, quali possono essere i mediatori culturali, per permettere un migliore dialogo e una precisa comprensione.
La realtà è che le famiglie accolte sono spesso portatrici di fragilità e problematiche, con richieste di sostegno ed accompagnamento. Non sempre i genitori sono preparati all’impatto con un servizio strutturato, che richiede il rispetto di regole e tempi ben definiti. Diventa allora necessario mettere in atto percorsi sia individuali che di gruppo che ci aiutino a stare dentro il servizio, a capirne l’importanza, a relazionarsi in maniera costruttiva.
A fronte di una complessità sempre maggiore rappresentata da questa tipologia di famiglie, il nostro sforzo sta nel continuo potenziamento di capacità di accoglienza sia in termini di un numero maggiore di operatrici a disposizione, sia in termini di maggiore tempo per programmare, sostenere, aiutare, verificare, mantenere legami e rapporti. In caso contrario il rischio che si corre è quello di diventare un semplice luogo di accudimento, privo di finalità educative.
Il nostro lavoro si pone perciò due obiettivi generali:
uno riguardante i GENITORI e uno riguardante i BAMBINI.
Se da un lato il nostro lavoro è tutto improntato sul dialogo coi genitori, dall'altro è importante non perdere di vista i bambini, che hanno bisogno di attenzioni personalizzate, di spazi pensati per loro, di un gruppo di pari con i quali relazionarsi, di adulti che diventino per loro figure forte di riferimento in assenza dei genitori.
GENITORI
Come già si anticipava nei paragrafi precedenti, noi pensiamo che al nido venga accolto non solo un bambino ma l'intera famiglia. I bisogni concreti espressi dalle famiglie vengono discussi insieme allo scopo di trovare soluzioni condivise.
I problemi che maggiormente ci vengono evidenziati sono quelli relativi agli orari di apertura e chiusura del nido, la possibilità di personalizzare le modalità di ambientamento a causa della poca flessibilità dei datori di lavoro, la possibilità di inserimento durante tutto il corso dell'anno.
Queste richieste ci hanno indotto a porci una serie di sotto-obiettivi, che sviluppiamo compatibilmente con le nostre possibiità:
Mantenere la caratteristica di flessibilità del servizio. Garantire la possibilità di inserimento durante l’anno alle famiglie che non sono riuscite, o non hanno i requisiti per accedere ai Nidi Comunali, diventa importante anche per rispondere tempestivamente a richieste che spesso hanno carattere d’urgenza. E’ altrettanto importante poter calibrare il periodo dell’inserimento su tempi e modalità che facilitino la famiglia ed il bambino a rimanere nel servizio.
Accogliere bambini con particolari difficoltà . Non sempre le difficoltà sono legate a problemi fisici o di sviluppo mentale, a volte sono strettamente connesse con le storie delle famiglie d’origine. Accogliere un bambino in difficoltà significa accogliere la sua famiglia, spesso composta da un solo genitore (la mamma), con il carico di problemi che si porta dietro e che incide fortemente sul benessere del bambino e sul suo armonico sviluppo psico-fisico
Dare la precedenza a bambini figli di madri sole. Diventa questa, a volte, l’unica possibilità per le madri di uscire da un circolo vizioso legato alla difficoltà di trovare occupazione quando hanno un bambino piccolo. Soprattutto nelle comunità migranti, il fenomeno delle madri sole è piuttosto diffuso, favorito da un tessuto sociale disgregato, da vincoli famigliari inesistenti (la famiglia d’origine è lontana), da una diversa concezione dei rapporti personali e di coppia. Il Nido diventa anche momento di accoglienza per le mamme, di ascolto, di conforto, di orientamento verso altri servizi.
Favorire il passaggio alla scuola materna. In questo caso l’intervento si esplicita su due livelli: un primo livello che è quello dell’incontro tra la struttura della scuola materna ed i bambini, con visite programmate, un secondo livello si concretizza nell’ aiutare i genitori ad individuare la scuola di competenza, a compilare le domande, a mediare il rapporto con la nuova istituzione.
Attività di mediazione culturale. Non sempre l’incontro tra mondi diversi è facile, anche se da entrambe la parti c’è la disponibilità a farlo. A volte gioca a sfavore la difficoltà di comprensione linguistica, a volte sono proprio le abitudini e le modalità educative di cui ciascuno è portatore a creare qualche difficoltà nella reciproca accoglienza. Diventa importante, in questi casi, poter essere affiancati da una figura terza che svolga il ruolo di mediazione, meglio se della stessa provenienza geografica del genitore che, in questo modo, sente riconosciute e rispettate le proprie tradizioni e viene aiutato a comprendere quelle del Paese che lo ospita.
Incoraggiare il mutuo aiuto fra donne. Succede a volte che, nonostante la buona volontà e la grande disponibilità, le educatrici non riescano a venire incontro alle esigenze delle famiglie. In questi casi si propone alle famiglie di provare ad organizzarsi per darsi un sostegno a vicenda, possibilmente autogestendosi. Questa alternativa ha il vantaggio di muovere le donne, di non farle sentire semplici fruitrici di un servizio che pagano, ma protagoniste in prima persona del buon funzionamento del servizio. Tuttavia abbiamo riscontrato un'enorme difficoltà a mettere in pratica un lavoro di questo tipo. L'educatrice diventa così anche mediatrice nei rapporti tra le famiglie. Il suo lavoro consiste nel cercare di permette l'instaurarsi di buoni legami, non giudicanti e di disponibilità tra i vari genitori.
Il gruppo “Noi dell’Iqbal” in facebook. Sempre allo scopo di facilitare relazioni e scambi di idee, con l’accordo delle mamme abbiamo creato un gruppo in facebook. Il gruppo è assolutamente chiuso ai soli membri iscritti che possono essere solo le persone che partecipano alla vita del nido (genitori, educatrici, volontarie). Nel gruppo postiamo quasi quotidianamente le foto dei bambini al nido, i video che li ritraggono mentre giocano, mangiano, litigano. A volte ci capita di utilizzare questi post in preparazione di un imminente incontro con le mamme. Per esempio molto utile è stato postare una serie di litigi tra i bambini. Ha permesso anche alle mamme più preoccupate dei segni che i figli si portavano a casa di notare come magari fosse proprio il figlio stesso a provocare la lite o comunque ad utilizzare dinamiche identiche coi compagni. Se possibile pubblichiamo articoli che riguardano l’educazione dei figli. Nel gruppo le mamme mettono le loro esperienze a casa, magari un video in cui la figlia gioca a telefonare alla sua amica del nido, e soprattutto commentano… e in questo modo creano pensiero.
Momenti di confronto con i genitori. Durante il corso dell'anno emergono spontaneamente occasioni di confronto coi genitori su tematiche concrete. Per esempio accade che a casa ai bambini venga dato da mangiare in continuazione, senza tener conto delle quantità e della qualità del cibo offerto. Oppure che in occasione di malattie ci sia un ricorso esagerato alle cure del Pronto Soccorso pediatrico e a farmaci spesso inutili (es. sciroppi per la tosse) e contemporaneamente una certa fatica a comprendere quali siano gli atteggiamenti corretti da tenere al nido (es. i bambini vengono portati al nido anche quando non stanno bene). E' nostra consuetudine offrire possibilità di confronto senza aspettare occasioni specifiche, inserendole nei normali momenti di incontro coi genitori durante la giornata, cogliendo la disponibilità immediata delle donne.
Colloqui personali. Oltre a queste occasioni estemporanee abbiamo scelto di dedicare un mese all’anno in cui proponiamo un colloquio personale con ogni famiglia. Ci sembra importante, e anche apprezzato, che ogni genitore possa avere un ritorno personale e accurato della vita, dei progressi e delle difficoltà del figlio al nido. Certamente un generale passaggio di informazioni viene fatto quotidianamente, ma ci sembra un valore aggiunto fermarci e dedicare del tempo ad ogni famiglia, in una certa intimità e soprattutto dopo un periodo di conoscenza e osservazione del bambino.
Progetto genitori. Ultimo ma non meno importante è il progetto genitori, un percorso dedicato proprio al ruolo del genitore all’interno del nido e all’accompagnamento dei genitori in quella complessa impresa che è l’educazione dei propri figli. Il percorso è strutturato in una serie di incontri che si tengono una volta al mese presso il nido, dalle 16 alle 18. Viene richiesto ai genitori di partecipare senza i figli, se possibile, per permettere a tutti di concentrarsi e godersi un paio d’ore di relax e riflessione. Gli incontri sono generalmente pensati e tenuti dalle educatrici del nido anche se a volte ci si avvale dell’aiuto di qualche esperto esterno per qualche tematica particolare (per esempio l’alimentazione “sana”). Alla base degli incontri ci sta la convinzione che ogni mamma ed ogni papà sappiano essere dei buoni genitori e che non abbiano bisogno di dritte e consigli su “come fare”. Piuttosto necessitano di situazioni in cui pensare al proprio essere genitori, alle difficoltà che incontrano e che a volte li mandano in crisi e li fanno sentire inadeguati, e in cui trovare dentro di sé e nel confronto con gli altri le vie migliori da intraprendere, quelle che più sentono proprie.
A questo tipo di “incontri tematici” si affiancano due incontri, uno all’inizio dell’anno scolastico e uno a marzo, in cui ci si confronta sulla vita dei bambini e sulle varie problematiche che possono emergere all’interno del nido, sui progetti in atto o a venire.
Infine il progetto prevede due feste da condividere, in occasione del Natale e della fine dell’anno scolastico, e tutte quelle iniziative (Bazar natalizio, vendita di tote all’Happening delle Cooperative sociali in guigno) in cui il nido si apre alla realtà territoriale per farsi conoscere e per raccogliere fondi e alle famiglie viene chiesto un aiuto pratico.
Il servizio attuato nei modi sopra descritti, permette di mantenere e consolidare un’esperienza che diventa significativa proprio nel momento in cui riesce non solo a rispondere a bisogni urgenti, ma riesce a fare cultura, intessere rapporti, creare reti. Un vero lavoro di integrazione tra culture diverse passa proprio dalla cura delle persone, dall’ascolto e dall’elaborazione delle richieste fatte.
In questo modo il Nido supera un ruolo di mera assistenza e riesce a diventare un laboratorio di esperienze e di crescita sociale.
Le ricadute positive si potranno verificare anche al di fuori del contesto Nido, con genitori più attenti, più coscienti del proprio ruolo e soprattutto maggiormente rinforzati nelle loro competenze.
LE FAMIGLIE MIGRANTI
La presenza di un alto numero di famiglie migranti sul territorio di Bergamo solleva questioni e problematiche rilevanti, a cui è utile dare risposte affinché sia possibile la costruzione di una società articolata, che sappia tener conto dei bisogni e delle differenze che i suoi soggetti portano con sé.
La conoscenza di diverse famiglie migranti ci permette di individuare due tipi di bisogni che le accompagnano quotidianamente.
Da un lato un bisogno ormai storico, legato ad un’esigenza molto pratica di trovare un posto sicuro e di fiducia a cui affidare i figli mentre si è lontani per lavorare. Questo bisogno diventa problema quando si scontra con il difficile accesso agli asili nido pubblici. Generalmente le famiglie migranti vivono, soprattutto nei primi anni di presenza nel nuovo territorio, una situazione di precarietà che rende difficile l’ammissione all’asilo comunale.
Dall’altro lato il secondo bisogno individuato non è meno importante. Esso ha a che fare soprattutto con la madre, con la sua persona e con il ruolo che si trova a svolgere nel nuovo Paese in cui è venuta ad abitare. Diversi studi ormai affermano che l’esperienza della migrazione è un’esperienza traumatica: «Ogni migrazione è traumatica perché interrompe l’omologia tra il contesto culturale esterno e il vissuto interno» (Nathan, 1986). Il distacco dalla cultura d’origine e l’approdo nella cultura ospitante è carico di emozioni positive - desiderio, sogno, speranza – ma anche di sofferenza. Lasciati i principali affetti alle spalle, si guarda avanti verso un nuovo che non si conosce, e ci si sente soli. La realtà che si trova non è quasi mai quella sognata prima della partenza. L’assenza di relazioni importanti produce un senso di isolamento. La mancanza di punti di riferimento culturali e di individui che facciano parte della cultura lasciata e che siano specchio per il proprio sé non permette una indispensabile ri-identificazione. Nel nuovo contesto, così diverso da quello che si è abbandonato e in cui si è cresciuti e si è stati educati, il migrante è fragile, facilmente raggiungibile da crisi profonde difficili da ricucire. E la donna in questa situazione si trova ad affrontare delle grandi difficoltà, soprattutto se è madre. Come vivere la maternità in un luogo in cui tutti sono estranei? Come gestire la gravidanza se nessuno ti aiuta? Come educare i figli? Rimanendo legati alla cultura d’origine, che si scontra continuamente con quella ospitante, oppure rinunciando per sempre a quello che si è stati, annullando la propria storia e il proprio essere per lasciarsi assimilare dalla nuova realtà? Crediamo che la donna oggi si trovi sola nel dover rispondere a tutte queste domande e che questa solitudine porti smarrimento e dolore che rendono ancora una volta più difficile il suo ruolo. Pensiamo perciò che sia importante trovare occasioni per dare voce a queste madri, momenti in cui possano provare ad affrontare insieme questi problemi e tentare, aiutandosi a vicenda, di ricostruire la propria storia di migranti per trovare risposte serene a queste domande. Aiutarsi a ricostruire quell’identità nuova, che sappia lasciare spazio al vecchio e al nuovo sé.
D’altra parte il lavoro avviato come Associazione, i numerosi contatti con le famiglie italiane e straniere, l’esperienza acquisita nel campo dell’integrazione tra le diverse culture,la sensibilità verso una cultura della pace e della tolleranza, ci hanno resi coscienti della reale difficoltà a creare luoghi di incontro e di confronto tra famiglie provenienti da paesi diversi.
Se per le mamme italiane usufruire di spazi di incontro e di socializzazione con altri genitori e con i loro bambini è diventata ormai pratica diffusa, le mamme straniere ancora faticano a ritagliarsi spazi al di fuori delle mura domestiche dove incontrarsi, far giocare i propri bambini, scambiarsi esperienze.
Ancora forte rimane perciò la percezione dell’”altro” come portatore di culture e bisogni talmente diversi e lontani da non poter entrare in comunicazione o da non poter essere compresi.
Da qui l‘idea di proporre un luogo in cui accogliere persone e non utenti, in cui sia possibile riconoscere le diversità ed accettare i conflitti che esse generano, in cui cercare la crescita attraverso il confronto, utilizzando il gioco come strumento per creare il contatto e rendere possibile la mediazione.
La condivisione dell’esperienza di crescita dei propri figli e di spazi in cui essi possano giocare ed entrare in contatto facilita la possibilità di riconoscere le stesse fatiche, gli stessi problemi, le stesse gioie.
Inoltre l’incontro con le famiglie straniere e la loro conoscenza ci ha permesso di individuare e focalizzare alcuni punti critici del processo di integrazione. L’esperienza ci ha dato la possibilità di capire che il processo di integrazione è di competenza, in primo luogo, della famiglia, in quanto chiamata a svolgere un ruolo di mediazione e di ponte tra il paese d’origine e la società in cui si trova ospitata. Ne consegue che il sostegno al ruolo di genitore si agisce anche attraverso l’offerta di strumenti che facilitino la comunicazione con la comunità in cui approda.
In particolare riteniamo necessario lavorare soprattutto con le donne perché hanno meno occasioni di relazionarsi in contesti extra-familiari: a volte provengono da culture che non prevedono la loro partecipazione alla vita sociale. In secondo luogo perché all’interno della famiglia sono le responsabili della custodia dei valori e della cultura lasciati, ma anche della mediazione con il nuovo contesto. E’ noto per esempio che il rapporto con il mondo della scuola passa inevitabilmente nelle mani della madre (il fenomeno è classico anche in Italia) che però spesso si sente inadeguata perché non ha sufficienti strumenti per comprendere e farsi comprendere. La situazione appena esposta si verifica anche in altri contesti (dal medico, negli uffici pubblici, in Questura…) e rischia di ingenerare un circolo vizioso all’interno del quale la donna, non riuscendo a farsi capire e non sentendosi riconosciuta, è esposta ad una perdita di fiducia in se stessa, ad una sorta di estraniamento che assume aspetti di criticità nei rapporti familiari e nel processo integrativo di se stessa e dell’intera famiglia.
Una delle conseguenze di questa situazione è la disgregazione familiare che vede ancora una volta la donna pagare i prezzi più alti. Sempre più spesso donne migranti sole, con figli, che non riescono a contare su nessuna rete parentale o amicale di sostegno si rivolgono a noi. Chi si fa carico di queste donne? Chi le aiuta nel loro compito di madri? Spesso i servizi pubblici non sono sufficienti perché questa tipologia di persone sfugge alla possibilità di seguire percorsi troppo strutturati e stabili.
Il progetto Iqbal, attraverso l’attivazione di servizi diversificati ma legati tra loro, può diventare così una sorta di “laboratorio” in cui sperimentare la possibilità di un intervento integrato ed in rete con altri servizi del territorio (per es. con le Assistenti Sociali).
L’intento è quello di lavorare sul sostegno alla genitorialità per favorire l’integrazione delle famiglie migranti attraverso un intervento che prenda in carico le problematiche nel loro complesso e non singolarmente e che accolga le famiglie nel loro insieme e non per singoli individui.
L’azione prevista, quindi, può costituire una risorsa in termini di orientamento delle famiglie verso l’utilizzo dei servizi del territorio.
BAMBINI
L’organizzazione del nido. Il nido non è organizzato in sezioni visto che può contenere un massimo di 14 bambini. Tuttavia abbiamo scelto di suddividere i bambini in due gruppi, eterogenei per età, ciascuno dei quali ha la sua educatrice di riferimento. In genere tutti i bambini condividono spazi, tempi, giochi…insomma fanno vita comune. I due gruppi si separano praticamente solo al momento del pasto perché siedono in due differenti tavoli, e al momento della nanna perché occupano due spazi distinti nella stessa stanza.
Ogni gruppo ha la sua educatrice di riferimento.
L’educatrice di riferimento è colei che “porta nel cuore” il bambino, che lo conosce meglio delle altre, che ha seguito i suoi sviluppi, la sua storia, che tiene i rapporti con i genitori. Perciò è la persona che maggiormente è capace di entrare in relazione col bambino, che può accompagnarlo nei momenti di difficoltà e, quotidianamente, nei momenti più delicati quali sono i momenti di cura: l’accoglienza, il cambio, il pasto, l’addormentamento e il ricongiungimento.
Al di là delle differenze riconducibili alle diverse provenienze e abitudini familiari o culturali, ogni bambino è una persona con i propri umori, le proprie preferenze, le proprie fatiche, i propri bisogni. Pensiamo a un bambino competente, che esprime bisogni che gli adulti devono accogliere, ma anche curiosità da soddisfare, interessi da seguire.
A questo scopo l'ambiente è strutturato in angoli caratterizzati dal materiale presente in essi: abbiamo così l'angolo simbolico, morbido, lettura e motorio; altro materiale è a disposizione (incastri, percorsi per palle o trenini, piccoli travasi ecc.) perchè ogni bambino ne possa usufruire con la massima libertà.
Noi crediamo infatti di dover offrire occasioni di stimolo da cui ogni bambino sia libero di prendere quanto sente essergli utile in quel momento della sua giornata, come del suo percorso personale.
Ogni bambino può quindi scegliere cosa fare fra le diverse proposte, libere o organizzate; se affiancarsi ad altri bambini o agire per conto proprio; può anche decidere di “non fare niente”, perchè magari sta assimilando e rielaborando stimoli precedenti, o perchè semplicemente vuole riposare e lasciar vagare lo sguardo. Noi pensiamo che il tempo di un bambino non sia mai “tempo perso” se non fa quanto noi potremmo aspettarci, essendo l'aspettativa nei confronti di un bambino in continua evoluzione una mera fantasia di adulti.
Ciò non toglie che, avendo deciso di non occupare tutto lo spazio disponibile con occasioni pre-allestite, organizziamo proposte particolari a scadenza più o meno regolare. Una di queste proposte è, classicamente, la pittura, vuoi a dita, vuoi con vari mezzi e materiali. A tale scopo prepariamo uno spazio delimitabile, utilizzato anche , ad esempio, per un altro percorso dedicato alla percezione sensoriale,: si tratta di cassettine, messe a mò di sentieri, contenenti materiali naturali di diversa consistenza tattile e di diversa percezione olfattiva e visiva, che i bambini possono attraversare con i piedi o con l'intero corpo.
Organizzazione degli spazi. Dopo una serie di riflessioni che ci hanno accompagnato per diversi mesi, abbiamo riorganizzato il nido in due stanze (oltre alla cucina dove viene servito il pasto e il bagno), non pensate come a due sezioni ma come a spazi diversamente caratterizzati.
Spazio motorio
Uno spazio chiaramente destinato ad attività motoria, ricco di stimoli e di possibilità.
Riteniamo che l’attività motoria dei bambini da 0 a 3 anni sia qualcosa di più che un semplice… modo per sfogarsi.
Movimento è conoscenza e utilizzo del proprio corpo, è percezione delle possibilità e dei limiti che il corpo che abitiamo ci dà. E’ possibilità di sperimentare spazi, altezze, velocità e lentezza. Ci pone chiaramente di fronte a ciò che possiamo o non possiamo fare. L’utilizzo di tutte le parti del nostro corpo ci permette, perciò, di imparare. Il nostro corpo è lo strumento indispensabile per accedere alla conoscenza di sé e di ciò che si trova attorno a sé.
Riteniamo un errore pensare che si possa arrivare allo stesso tipo di conoscenza anche soltanto attraverso il gioco da fermi, a tavolino, attraverso materiali interessanti e proposte studiate ad ok. Questo perché l’uomo è innanzitutto corpo. E il corpo è qualcosa di molto articolato. Con l’attività a tavolino vengono utilizzate un numero molto ridotto di parti di questo complesso sistema.
Tra l’altro i bambini che solitamente ospitiamo al nido vivono in spazi molto ridotti in cui è impossibile fare corse o giochi di movimento. Ci sembra perciò indispensabile sopperire a tale mancanza almeno attraverso lo spazio del nido.
Nello spazio motorio ci sono: materassi per saltare e fare capriole, arredo che aiuti la salita e la discesa, tunnel per “passare dentro”, materiale per arrampicarsi, musica.. e spazio libero.. per correre e ballare e muoversi liberamente.
In questi anni di attività al nido ci siamo accorte di come, pur ritenendo lo spazio motorio un elemento assolutamente indispensabile e importante, questo spesso fosse fonte di disturbo per chi era impegnato in attività diverse.
Abbiamo allora ipotizzato di separarlo completamente dal resto delle attività, pur collocandolo in una stanza accessibile in qualsiasi momento e a chiunque.
Spazio strutturato. Lo spazio strutturato, che riconosciamo nella sala d’ingresso al nido, è invece quello spazio in cui si gioca senza bisogno di grande movimento.
Lo abbiamo pensato ricco di attività, le più svariate.
Il corso organizzato dal Comune di Bergamo che abbiamo seguito nell’a.s. 2012-13 ci ha fatto riflette sull’importanza di fornire ai bambini la possibilità di accedere liberamente a qualsiasi tipo di attività, anche quelle che un tempo utilizzavamo come “l’attività del giorno”.
Incastri, didò, travasi, lettura, gioco simbolico, colori.. tutto viene proposto ai bambini. Lo spazio viene suddiviso in molti piccoli spazi contenuti e protetti, atti ad ospitare due o tre bambini per volta, ognuno dei quali viene organizzato per proporre una particolare attività.
I bambini possono giocare liberamente in tutti gli spazi a diposizione e cambiare attività quando lo desiderano. L'unica regola che poniamo è che in ogni spazio non ci possono stare più bambini di quanti lo spazio sia disponibile ad accogliere. Per esempio, se al tavolo su cui si gioca col didò ci sono due sedie, due pezzi di didò, due matterelli, due coltelli.. non potranno giocare più di due bambini. Per ogni spazio abbiamo cercato il modo di rendere chiaro in numero di bambini che vi possono accedere. Questo solo per non creare confusione e permettere a chi sta giocando concentrato di poter continuare la sua attività con serenità e senza troppi disturbi.
La porta che permette ai due spazi di comunicare resta aperta.
Viene chiusa solo durante la nanna, quando lo spazio motorio lascia il posto ai lettini per il riposo pomeridiano.
Possibilità di uscire sul territorio. Purtroppo il nido non dispone di uno spazio esterno. Solo al termine delle lezioni scolastiche, praticamente nel mese di luglio, possiamo usufruire del giardino della scuola. Perciò, quando è possibile grazie alla collaborazione delle preziose volontarie, cerchiamo di raggiungere un parco o semplicemente facciamo una passeggiata nel quartiere.
Permettere e favorire le uscite sul territorio diventa importante per un servizio che altrimenti rischia di ghettizzarsi, chiuso nel suo piccolo spazio. Mettere i bambini a contatto con la realtà del quartiere, permettere loro di giocare ai giardini pubblici, offrire la possibilità di incontrare altri coetanei o adulti in un contesto di normalità permette l'instaurarsi di un dialogo interessante con le persone che si incontrano, che spesso hanno una visione un po' troppo semplicistica della realtà: i figli di migranti sono dei "poverini" e i migranti sono tutti, o quasi, criminali.
PROGETTO AUTONOMIA
Il pasto. Come già accennato, il pasto ad Iqbal si svolge su due tavoli, ognuno dei quali è seguito dall’educatrice di riferimento del gruppo che lo occupa. Ci sembra importante che l’educatrice stia seduta per tutta la durata del pasto con i suoi bambini. Per permetterle ciò ci avvaliamo dell’aiuto delle volontarie che ci aiutano a rifornire i tavoli delle varie pietanze, dell’acqua e di tutto ciò che possa occorrere durante il pranzo. Ai bambini vengono proposti piatti di ceramica e bicchieri di vetro, nonché piccole brocche di vetro per versarsi l'acqua da soli, appena ne sono in grado. Anche il cibo viene servito in zuppiere da cui ogni bambino può servirsi. I più piccoli (nel nostro nido, dai 12 mesi) vengono incoraggiati a fare da soli offrendo loro un cucchiaio in più da utilizzare in autonomia, anche se ancora necessitano di essere imboccati. Ogni bambino che ne è in grado si occupa poi di sparecchiare il proprio posto e riordinare il tavolo.
Dal mese di gennaio viene allestito un terzo tavolo. E’ il “tavolo dei grandi”. Al “tavolo dei grandi” vengono invitati i bambini che a settembre andranno alla scuola dell’infanzia. Scopo del tavolo dei grandi è permettere ai bambini di provare a gestirsi in completa autonomia, senza la presenza dell’educatrice al tavolo. Non è detto che nel mese di gennaio tutti i bambini di quell’età siano pronti ad un simile passo. Alcuni non hanno ancora dimestichezza con posate e stoviglie, altri sono ancora molto dipendenti dalla figura dell’adulto. Perciò invitiamo al tavolo i bambini solo quando riteniamo che sia arrivato il loro momento, senza forzare nessuno. Se un bambino prova e poi capisce che non se la sente, può sempre ritornare al tavolo con la sua educatrice di riferimento.
Il cambio. Un altro ambito in cui viene sviluppata l'autonomia del bambino è quello della cura del corpo, carica anche di significati emotivi profondi. La nostra idea consiste nel dedicare tutto il tempo necessario ad ogni bambino perché al momento del cambio possa godere di attenzioni personalizzate e, con calma, possa provare a spogliarsi da solo (e poi a vestirsi), in un processo che porterà via via al controllo degli sfinteri seguendo i tempi e i ritmi dei singoli bambini. Ci piace pensare che non ci sia un momento dell’anno in cui si toglie il pannolino in gruppo ma che l’osservazione di ogni bambino ci possa suggerire qual è il momento adatto per proporgli di affrontare questa sfida. Ci sembra importante anche condividere i nostri pensieri e le nostre osservazioni con i genitori (non sempre ciò che osserviamo noi è quello che viene percepito a casa, oppure i tempi proposti non sono quelli adeguati per la famiglia) e trovare insieme un accordo che possa essere d’aiuto al bambino.
Notiamo come i progetti più importanti e ai quali dedichiamo più energie, sia all'interno della singola giornata che nello scorrere dei mesi, siano strettamente legati ai momenti di cura.
A questi tempi, della pappa e del cambio, insieme al sonno e agli altri che si ripetono giorno dopo giorno (accoglienza, ricongiungimento) viene riservata la maggiore attenzione da parte nostra. Si cerca di rendere questi momenti il più rilassati possibile, tenendo conto delle necessità individuali del bambino, ad esempio cogliendo quando è pronto a separarsi dal genitore con modalità che sono del tutto personali.
Tutto ciò nella certezza che sull' attenzione alla cura si basi il senso di sicurezza del bambino e la sua serenità all'interno del nido.